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LE PAROLE "SOPORIFERE": "NEOLIBERISMO"

  • Giuseppe Romiti
  • 19 gen 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Alcune parole sembrano fatte apposta per “addormentare” il confronto. La sociologa Marianella Sclavi le definisce parole “soporifere” perché, nella loro molteplicità di significati negativi, fanno cadere sui tuoi argomenti una sorta di moderno anatema, un “vade retro Satana” che rende vana qualunque possibile replica. Una di queste parole è l’aggettivo “neoliberale”. 


Il libro (“La città neoliberale” di Gilles Pinson – Mimesis Edizioni – 2022) ripercorre la storia del  pensiero economico, appunto denominato “neoliberale”, delle politiche che hanno provato ad attuarlo nei diversi paesi, e delle posizioni accademiche che lo hanno criticato.


In una breve introduzione ci viene ricordato che, alla fine degli anni ’60, si concludeva quel periodo di crescita economica e di relativa pace sociale conosciuto come “boom economico”. Era entrato in crisi il modello, denominato “fordista/keynesiano”, che mirava a sostenere la domanda di beni e servizi grazie alla concertazione governo - sindacati - imprenditori ed a robusti programmi di investimento statale in infrastrutture e servizi. Apparvero, infatti, fenomeni inaspettati che interrogarono gli economisti: lo scatenarsi dell’inflazione in presenza di una significativa disoccupazione e la perdita di competitività economica. Si andò così alla ricerca di nuovi rimedi e si credette di trovarli nelle cosiddette teorie “neoliberiste”.


Fino ad allora, si era data molta importanza alla ridistribuzione di parte del surplus a favore delle classi meno ricche, con lo scopo di promuovere la giustizia sociale, ma anche per per evitare crisi di sovraproduzione sostenendo i consumi. Le teorie neoliberiste spostano invece l’attenzione sul controllo dell’inflazione, la liberalizzazione dei mercati, la privatizzazione delle imprese pubbliche, il contenimento della pressione fiscale e della spesa pubblica. Le parole d’ordine divennero l’aumento della competitività e la capacità di attrazione degli investimenti, pretendendo di generare una ricaduta positiva su tutta la societò, il cosiddetto effetto “trickle down” (“sgocciolamento” della ricchezza), mentre la politica fu sempre più vincolata al rispetto di parametri economici e finanziari.

A scanso di facili malintesi, l’autore evidenzia come queste teorie non difendono a spada tratta le capacità “autoregolatrici” del mercato, quando è libero da ingerenze statali. Piuttosto le ingerenze si possono manifestare, ma devono favorire direttamente chi produce beni e servizi, e alla fine ci guadagneranno un po’ tutti. Secondo i critici, invece, le misure di austerità, le privatizzazioni e tutto l’armamentario neoliberista producono un impatto sullo stato sociale (servizi di base, sanità, istruzione,  politiche abitative e sviluppo del territorio)  aumentando le diseguaglianze. 

Nel libro vengono ricordati gli effetti del “neoliberismo” sulle città. In molti casi la logica della competizione, basata sulla creazione di poli attrattivi di sviluppo, ha fatto convergere, nei quartieri centrali, professionalità avanzate e ceti più abbienti, mercificando lo spazio pubblico e provocando l’espulsione dei più poveri e meno qualificati. Sono state penalizzate le politiche abitative basate sull’assegnazione di case popolari a favore della soluzione proprietaria, sostenuta dal sistema bancario. I valori immobiliari sono cresciuti in misura sensibilmente maggiore rispetto a quella dei salari ed oggi l’acquisto di una casa non è alla portata delle fasce più deboli e delle nuove generazioni. Inoltre, per mitigare la percezione del disagio sociale generato dalle disuguaglianze e dalla povertà, in alcune città sono state adottate politiche repressive, sproporzionate e discriminatorie.

Da questa lettura potrebbe uscirne fuori un quadro a tinte fosche, dove il neoliberismo, più che un insieme di pratiche di governo, è una ideologia pervasiva capace di imporsi a livello politico, economico, sociale e persino morale. Senonché l’autore, pur facendo trasparire una empatia verso l’approccio critico, è capace di evidenziare i suoi limiti. 

Secondo Pinson, è erroneo attribuire al neoliberismo uno status di ideologia consistente ed organica, onnipotente e onnipresente, quando invece: “è una realtà sfuggente, contraddittoria e polimorfa”. Rifacendosi a quanto riscontrato nei vari paesi bisogna ammettere che “la neoliberalizzazione non costituisce un’ondata massiccia e uniforme” ma è “una forza di cambiamento tra le altre, più o meno decisiva a seconda dei paesi”. 

La nozione di “neoliberismo” è, quindi, da considerare un’utile concettualizzazione per rappresentare la tendenza  verso la mercificazione di tutti gli aspetti della vita umana, ed aiuta nella definizione delle misure di contrasto. Con l’avvertenza di non fare di ogni erba un fascio perché ”il mercato, la concorrenza e l’imprenditorialità possono anche avere effetti liberatori”. Dando la giusta importanza anche ai vincoli di bilancio che, quando non sono usati ad altri fini, continuano ad essere necessari per garantire una equilibrata gestione economica e finanziaria (come enunciato nell’art. 81 della Costituzione Italiana).

Infine, ed è questa l’osservazione più pregnante, le teorie critiche del neoliberismo raramente indicano quali potrebbero essere le alternative concretamente realizzabili. In assenza di queste,  l'unico riferimento che rimane sono le esperienze del passato, basate sull'egemonia dello stato, con tutti i loro limiti, in particolare se includiamo ciò che è avvenuto nel blocco sovietico. Se queste fossero le uniche alternative, allora continueremmo a subire il celebre slogan: ”There Is No Alternative” (TINA – “Non ci sono alternative”), reso famoso negli anni ’80 dal primo ministro inglese Margaret Thatcher, icona del neoliberismo. 




Per concludere, tornando al punto iniziale, quello delle parole “soporifere” e del loro effetto, è evidente che non si facilita il confronto fra opinioni diverse appioppando a cuor leggero  il termine “neoliberismo”, con la sua carica di significati contrastanti e di tante questioni irrisolte. A meno che, come si è detto prima, lo scopo del confronto non sia semplicemente quello di zittire l’interlocutore. 


Prima di chiudere definitivamente non possiamo fare a meno di aggiungere una nota su un aspetto essenziale del neoliberismo, la sua capacità di mercificare “sottomettendo ogni aspetto della vita politica e sociale al calcolo economico”. Stupisce molto che, nella ricca e dettagliata serie di esempi che di solito accompagnano le critiche, trova raramente posto il caso più eclatante di “neoliberismo” che ormai è sotto gli occhi di tutti, il mercato della procreazione, nel quale avviene la compravendita dei gameti umani, e della gestazione materna. Che sfrutta, nella stragrande maggiorana dei casi, donne in condizioni di difficoltà, ridotte esse stesse a merce.

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